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Calcetto e il linguaggio dei politici - Skill Academy

Calcetto e il linguaggio dei politici

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Calcetto e il linguaggio dei politici

Bamboccioni – Tommaso Padoa-Schioppa, Ministro dell’Economia e delle Finanze, 2007
“Mandiamo i bamboccioni fuori di casa”

Choosy – Elsa Fornero, Ministro del Lavoro, 2011
Non bisogna mai essere troppo ‘choosy‘ (schizzinosi), meglio prendere la prima offerta e poi vedere da dentro e non aspettare il posto ideale

Sfigati – Michel Martone, Vice Ministro del Lavoro, 2012
“Dobbiamo dire ai nostri giovani che se non sei ancora laureato a 28 anni, sei uno sfigato”

Calcetto – Giuliano Poletti, Ministro del Lavoro, Marzo 2017
Mandare il curriculum? Meglio giocare a calcetto

Solo titoloni di giornale?

Sono quattro esempi che abbiamo conosciuto soprattutto attraverso i media e quindi anche sottoposti a un potenziale aggiustamento dei titoli, ancor di più in quest’epoca di “caccia ai click” sui social.
Quattro casi in cui una frase – una sola parola addirittura! – ha provocato una valanga di critiche da parte dell’opinione pubblica.

Io ho la fortuna, come Trainer di Programmazione neurolinguistica (PNL), di non interessarmi al contenuto di affermazioni come queste né di giudicarne l’effetto sui media e sui lettori. Invece, spiego il risultato ottenuto – in questo caso lo sdegno – analizzando la comunicazione dal punto di vista della struttura che è stata scelta. Ci si potrebbe soffermare su diversi elementi; io qui ne voglio trattare uno che accomuna le quattro frasi.

Cosa fanno queste affermazioni dette dai nostri politici per generare tanto clamore?
E pensare che, nell’ultimo caso, il Ministro Poletti ha anche fatto un piccolo sforzo per contestualizzare quello che ha detto; le sue parole esatte infatti erano state: “Il rapporto di lavoro è prima di tutto un rapporto di fiducia. È per questo che lo si trova di più giocando a calcetto che mandando in giro dei curriculum”.

Parliamo del risultato

Il significato della tua comunicazione è dato dalla risposta che ottieni.
Che vuol dire?
Vuol dire che non me ne faccio niente dell’intenzione con cui hai detto quello che hai detto ma di quello che io ho capito e del significato che ha per me: dei bollori che mi smuove, dei collegamenti con persone e situazioni che io conosco, degli scenari che mi si disegnano nella testa nel momento in cui tu dici quello che dici.
Non conta tanto [A] che esce dalla bocca di chi parla, conta soprattutto [B] che entra nella testa di chi ascolta.

Se a fare la battuta di Poletti fosse stato Seth Godin in un corso sulla vendita nel quale ci spiega che la fiducia è l’elemento su cui si basano gli acquisti, e quindi anche l’acquisto di una risorsa da assumere, la platea probabilmente avrebbe annuito divertita e preso appunti. Siccome invece a dirlo è stato un uomo di governo l’Italia si è ribellata. E si è ribellata a ragione.
Perché prima di dare un insegnamento, suggerire un’azione da intraprendere, affermare un principio e pensare di farci seguire in quello che sosteniamo, è necessario che ci accertiamo di aver il diritto di farlo con quell’interlocutore.

A meno di non aver prima creato una connessione con chi ci ascolta tale per cui, oltre a sentirci perché ha le orecchie, ci accorda anche il privilegio di ascoltarci, questo diritto non ci è garantito. È un diritto che ci si guadagna unicamente dimostrando di capire come si sta nei panni dell’altro, nel suo mondo.
Quante idee e consigli ricevi quotidianamente? Molti! E quanti ne segui in realtà? Probabilmente solo un piccolo numero: quelli che provengono, appunto, dalle persone alle quali individualmente hai accordato il diritto di dire cose significative e credibili per cui non solo le senti (con le orecchie) ma le ascolti (col cervello) per poi agire di conseguenza.

Questo privilegio viene accordato alla persona che parla solo se dimostra di sapere come si sta al posto di chi ascolta.
Tommaso Padoa-Schioppa, Elsa Fornero, Michel Martone, Giuliano Poletti hanno fatto esperienza diretta o semidiretta dei problemi a cui fanno riferimento nelle affermazioni in questione? Chi lo sa!
Di sicuro non è in virtù di questa esperienza che sono riconosciuti dal pubblico, dagli italiani! Sono invece riconosciuti per trovarsi in un luogo dove si ha la possibilità di fare delle scelte che impattano su milioni di cittadini, in cui si riceve un trattamento privilegiato in virtù della carica e nel quale si viene sollevati da tanti fastidi, difficoltà e umiliazioni che l’uomo e la donna comune vivono.

Ergo: da quella posizione non è possibile impartire lezioni di vita o morali da vecchio saggio a chi sta in quest’altra posizione, a meno di non aver prima dato prova di sapere concretamente come si vive con quel problema.

Fine della storia.

Paola Tambuscio
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